TRIESTE
Compagne e compagni hanno attraversato strade e piazze in vari punti della città con cartelli e striscioni. Sono stati messi dei fiori e dei cartelli in alcuni punti particolari della storia proletaria di Trieste: dalla targa in p.unità che ricorda la promulgazione delle leggi razziali fasciste alla targa in piazza borsa che ricorda i lavoratori uccisi durante lo sciopero generale del 1902. Da p.puecher (dove negli anni cinquanta si tenevano i comizi anarchici per il primo maggio) a campo san giacomo. Decine e decine le copie del nuovo Germinal diffuse nelle strade. La sede del Gruppo Anarchico Germinal è rimasta presidiata (ovviamente con tutte le precauzione sanitarie del caso) tutta la mattina per la diffusione di libri e stampa anarchica. In p.della Borsa polizia e digos hanno fermato, trattenuto per oltre un’ora e infine multato cinque compagni e compagne del nostro gruppo. Tutte le iniziative sono state effettuate in sicurezza per noi e per il resto delle persone in quanto riteniamo la salute pubblica un bene essenziale. Allo stesso tempo non siamo disposti/e a farci tappare la bocca. Tanto meno il primo maggio. Qui altre foto della giornata. Qui invece il comunicato stampa.
Un compagno del Germinal
TORINO
Primo Maggio. Ai lavoratori della sanità uccisi dalla giunta Cirio
Uno striscione con la dedica del Primo Maggio ai lavoratori della sanità morti per le politiche criminali della giunta Cirio è stato appeso oggi all’assessorato regionale alla sanità in corso Regina Margherita 153.
Un piccolo gesto per le lavoratrici e i lavoratori, che in questa regione come nel resto d’Italia hanno pagato il prezzo più alto perché la tutela delle persone è stata sacrificata sull’altare del profitto da questa amministrazione, da questo governo e da quelli che li hanno preceduti. In Italia sono 16.953 i medici, infermieri, e OSS contagiati, ossia il 10,7% dei lavoratori contro il 4% della Cina.
In Piemonte il 70% dei lavoratori della sanità che si sono ammalati sono OSS che lavorano sotto costante ricatto e minaccia nelle RSA.
Chi chiede le mascherine o denuncia la situazione viene minacciato di licenziamento.
Nulla era stato fatto per essere pronti ad una pandemia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva messo nel novero delle probabilità inevitabili ormai da anni.
Nulla è stato fatto per correre ai ripari quando, tra tagli al servizio sanitario e colpevoli omissioni, era troppo tardi per affrontare al meglio la crisi.
Sin dai primi giorni la scelta del Piemonte è stata chiara: fumo negli occhi e nessuna sostanza.
Le mascherine per i lavoratori e tutte le persone a rischio? In molti ospedali ancora le attendono, mentre fuori la gente si arrabatta come può.
Le nuove assunzioni? Non ci sono mai state, nonostante la carenza di personale sia la norma ormai da anni.
I tamponi? A due mesi dall’inizio dell’epidemia ci sono persone che attendono il tampone nonostante abbiano sintomi o siano entrate in contatto con persone positive.
Gli ospedali italiani sono luoghi pericolosi per la diffusione di malattie da ben prima dell’epidemia. Secondo il rapporto Osservasalute 2018 nel 2003 si contavano 18.668 decessi per infezioni ospedaliere, nel 2016 i casi sono diventati 49.301, quasi tre volte tanto. Il moltiplicarsi dei tagli alla spesa sanitaria ha reso poco sicuri gli ospedali. Eppure la Regione Piemonte ha puntato solo su questa carta. Le conseguenze tragiche sono sotto gli occhi di tutti.
Chi dichiara di vivere con una persona contagiata, deve continuare a lavorare, anche in ospedale, in attesa di un tampone che non arriva o arriva molto tardi.
I dormitori e le RSA si sono trasformate in focolai incontrollabili di contagio, nonostante le segnalazioni e gli appelli delle persone che ci lavorano e dei parenti degli anziani. Al carcere delle Vallette il virus corre dentro celle sovraffollate.
Chi si ammala, resta chiuso in casa senza visite, cure o tamponi. Le case non sono luoghi sicuri, perché chi si ammala resta in casa, esponendo chi vive nello stesso appartamento al contagio. Gli ospedali, dove lavoratori si ammalano e muoiono perché nemmeno per loro ci sono protezioni e controlli sanitari, non sono luoghi sicuri. Le strade, dove domina l’arbitrio di polizia e militari, non sono luoghi sicuri per i senza tetto, per i poveri che vivono in case sovraffollate, per chi lavora in nero per raggranellare qualche soldo.
Ci dicono che ora va meglio, che sono diminuite le persone ricoverate, quelle in terapia intensiva, ma mentono perché se diminuisce il numero di persone in ospedale, continua a crescere quello dei morti e dei contagiati. Il Piemonte, settimana dopo settimana è ormai al secondo posto dopo la Lombardia nella terribile conta dell’epidemia. In Italia ci sono quasi 100.000 persone chiuse in casa, malate e in buona parte prive di assistenza domiciliare. In tanti sfuggono alle statistiche ufficiali, perché si sono ammalati e sono guariti senza che venissero fatti esami o visite. Nelle RSA ora fanno i tamponi ai morti: ma nelle prime settimane omertà e silenzio erano la consegna imposta a tutti da amministratori preoccupati che la verità trapelasse.
Cirio ha fatto il suo spot con le ex OGR trasformate in ospedale da campo con i medici cubani, mentre la sanità territoriale, gli ambulatori, ormai da anni svuotati delle loro funzione di presidi sanitari territoriali, sono stati chiusi. Punto. Con buona pace di chi soffre di patologie croniche e della salute di tutti.
Dopo due mesi di domiciliari di massa il governo ha deciso che riaprirà le fabbriche ma ci lascerà ai domiciliari.
Le nostre vite, oggi più che mai, sono ridotte a mero ingranaggio di una macchina che deve andare avanti costi quel che costi. L’epidemia riporta l’ordine del mondo nei binari in cui è sempre stato, mettendone a nudo i meccanismi. Le nostre vite non contano, sono intercambiabili, sostituibili, sacrificabili. Il governo ammantando tutto sotto un sudario tricolore, di unità di popolo, di nazione, senza cesure di classe, ci vorrebbe docili, pronti al destino che ci è stato assegnato.
Il 4 maggio aprono le fabbriche, ma a fine turno tutti devono tornare nelle loro prigioni casalinghe, isolati e silenti.
Non c’è ragione sanitaria che tenga. Se non è pericoloso stare nel chiuso di una fabbrica, di un magazzino, di un supermercato, allora non può essere pericoloso vederci stando a distanza per discutere, scendere in strada a manifestare, a lottare perché le nostre vite non siano sacrificate, perché la nostra libertà non sia ridotta a consumo, perché le nostre vite vengano prima del profitto di chi, da sempre, ci imprigiona.
I lavoratori e le lavoratrici che hanno imposto con la lotta la chiusura delle fabbriche hanno contribuito alla salute di noi tutti.
Il governo ci vuole divisi, sospettosi, spauriti. Ci rubano la libertà e la dignità. Per il nostro bene. Non è facile sfuggire alla trappola della paura e del peccato. La radice del male è sin nella parola chiave di questa crisi, il grimaldello con il quale ci hanno ingabbiati, il distanziamento sociale.
Perché non parlare di distanza di sicurezza, di spazio tra i corpi? Perché uno spazio fisico si può costruire ovunque, non solo in casa, invece la distanza sociale è ben più e ben altro: è la cancellazione delle relazioni, della polis, della comunità di lotta, del tempo che si riconquista insieme.
La distanza sociale nega il mutuo appoggio e promuove la carità, nega la libertà e ci obbliga all’obbedienza, nega valore alle nostre vite e ci chiude nel cerchio produci, consuma, crepa.
Il Primo Maggio nasce come giornata di lotta, nasce nel sangue dei lavoratori uccisi per conquistare una primavera di libertà, giustizia sociale, solidarietà e mutuo appoggio. Un mondo senza stati né padroni.
Questo Primo Maggio, ovunque in Italia, ci sono anarchici che sfidano i divieti e scelgono di dare un segno. Magari piccolo, ma importante, perché se le nostre vite non contano, se la produzione deve andare avanti, se la libertà è solo la farsa del consumo e del contatto telematico, è tempo di scioperare, di rifiutare di essere agnelli sacrificabili sulla tavola imbandita dei padroni.
Vivere meglio, in modo libero e solidale tra eguali nelle differenze è possibile.
Dipende da noi. Il presente è nelle nostre mani. La primavera è ora.
Buon Primo Maggio di lotta!
I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese
Pur non potendo organizzare la manifestazione del Primo di Maggio Anarchico Carrarino abbiamo comunque inviato un comunicato, invitando la popolazione a “coprire la città di fiori rossi” alle testate giornalistiche Locali ed alle radio e TV. Le tre testate principali (il Tirreno, La Nazione e La Voce Apuana) hanno risposto pubblicandolo, e dandone un discreto risalto, al messaggio contenuto.
Lo stesso è avvenuto on line attraverso Gruppi FB Locali e Nazionali. Intanto la redazione del Aperiodico di cultura informazione Anarchica Apuana “il ’94” preparava e divulgava mezzo Internet un numero Speciale sul Primo di Maggio Anarchico in pdf. Contenete il discorso che sarebbe stato Letto durante la manifestazione, ed altri articoli e comunicati da varie realtà come: NUDM (massa carrara) , FAL, USI-CNT il numero conteneva in oltre articoli sul 25 Aprile e la storia e i testi dei Canti di Lotta a noi Cari.
La mattina del Primo di Maggio vari compagni come preventivamente pianificato hanno aperto la sede del Germinal in Piazza Duomo a Carrara dove con altre individualità della zona si è Cantato e posto dei fiori alle varie lapidi e una Corona al monumento di Meschi in città, non è mancato una frugale mescita di Vino per riscaldare i cuori, Brindando e Gridando ” VIVA IL PRIMO MAGGIO, VIVA L’ANARCHIA”.
Dove si è visto anche una partecipazione della cittadinanza.
Qui in allegato foto della giornata del Primo Maggio a Carrara.
Il responsabile
Gruppo Anarchico Germinal FAI Carrara
LIVORNO
VIVA IL PRIMO MAGGIO!
Il Primo Maggio quest’anno arriva in un contesto particolare: la pandemia dilagante ha fornito alle classi privilegiate e al governo l’occasione per dare fiato alla retorica nazionalista. Chi sta sul ponte di comando per i propri interessi vuole imporre agli sfruttati miseria, malattia e morte.
Ricordiamo le origini anarchiche di questa giornata.
Il 1° maggio 1886 i lavoratori di Chicago scesero in piazza per ottenere la giornata lavorativa di otto ore. Il governo si vendicò condannando a morte cinque degli organizzatori: Adolph Fisher, Albert Parsons, August Spies, George Engel, Louis Lingg. Cinque anarchici. Il Congresso Operaio di Parigi nel 1889 proclamò il Primo Maggio giornata internazionale di lotta in ricordo dei “Martiri di Chicago” e per la riduzione della giornata lavorativa. L’anno successivo, nel 1890, si celebrò per la prima volta il Primo Maggio e anche a Livorno lo sciopero e le manifestazioni operaie ebbero un grande successo. In città la reazione repressiva delle autorità non si fece attendere: Pietro Gori fu arrestato come organizzatore e imprigionato nel carcere dei Domenicani. Ancora oggi il Primo Maggio è in tutto il mondo una giornata di lotta e di festa, e proprio in questi tempi serve per affermare la pratica dell’azione diretta, dell’autorganizzazione, dello sciopero, assieme alla libertà come dimensione collettiva.
Questo periodo ha visto anche un nuovo protagonismo della classe operaia, della classe lavoratrice, che con gli scioperi di marzo e le lotte per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro, ha tutelato la salute di gran parte della società.
La spinta verso una frettolosa riapertura dei settori produttivi chiusi dimostra che anche nella società contemporanea la forza lavoro è il fondamento della produzione capitalistica. È la classe operaia che forma il corpo vivo dell’immensa massa di mezzi di produzione accumulati dal lavoro umano, mezzi di produzione di cui i capitalisti si appropriano e che sono ridotti ad uno scheletro in decomposizione senza la presenza delle lavoratrici e dei lavoratori.
Il rallentamento dell’epidemia non ci sarebbe stato senza le lotte spontanee in tante realtà produttive, che hanno costretto il governo a prendere misure di chiusura tardive e parziali. Oggi che si prospetta una frettolosa e confusionaria riapertura, la tutela della salute collettiva è affidata all’azione diretta e all’autorganizzazione del movimento operaio, il solo che può impedire che la sete di profitto dei capitalisti si trasformi in una nuova tragedia. È il momento di intervenire in prima persona, di organizzarsi, di attivarsi, di rafforzare le reti di solidarietà per respingere il ricatto della miseria e della disoccupazione.
Il 25 aprile ha dimostrato l’attaccamento diffuso verso una data che ha visto l’insurrezione popolare sconfiggere un governo tirannico, nazionalista e guerrafondaio. In molte città giovani e meno giovani sono scesi in piazza, prestando attenzione alla salute propria e altrui e sfidando la repressione del governo.
Il Primo Maggio non festeggiamo il lavoro, festeggiamo le classi sfruttate in lotta per la trasformazione sociale, festeggiamo la solidarietà internazionale di chi lotta per la libertà.
Collettivo Anarchico Libertario
collettivoanarchico.noblogs.org
Federazione Anarchica Livornese
federazioneanarchica.org
ROMA
Buon 1 Maggio Anarchico!
Una passeggiata , a distanza misurata, durante la mattina ha reso omaggio con dei fiori alla casa dove visse Iole Zedde che nel 1944 a sedici anni fu tralciata dal mitra nazifascista presso la stazione Ostiense. Con i cartelli + Ospedali/No spese militari
Con lo sguardo rivolto all’aurora!
Buon 1 maggio a tutte e tutti!
Gruppo Anarchico “Cafiero” – FAI Roma
PRIMO MAGGIO 2020
Il 1° maggio è nato illegale.
E’ stata una data di lotta che, nel corso della sua storia, è stata duramente repressa. Anche negli anni di maggior repressione l’abbiamo celebrata, lottando e combattendo per l’emancipazione.
Agli anarchici della legalità non è mai importato nulla, non decidiamo se fare una cosa in base alla sua legalità o illegalità, decidiamo come comportarci in base alla nostra etica: facciamo o non facciamo una cosa se la riteniamo portatrice di libertà o d’oppressione.
Anche il Primo Maggio del 2020 è illegale. La motivazione data per il divieto è la pandemia in corso.
Secoli di lotte alle menzogne del potere ci hanno insegnato a non accettare ciecamente quello che ci viene raccontato come vero, assoluto, indiscutibile, ineluttabile.
Vale anche il principio di precauzione ed il principio di libertà, la libertà di non essere contagiati e di non contagiare altri, e la necessità che i ribelli si conservino liberi e in buona salute. Per questo invitiamo tutti ad adottare le opportune cautele nel celebrare questa giornata di lotta.
Riteniamo questa emergenza sanitaria causata dal potere con i tagli alla sanità, la creazione di baronie nella sanità pubblica, lo sfruttamento, fatto di turni massacranti carenze d’organico e salari da fame, per il personale sanitario e l’appalto della salute alle cliniche private, spesso confessionali, che sono l’ennesimo veicolo di arricchimento per chi è già ricco.
Denunciamo la gestione criminale dell’emergenza medica, con il personale sanitario mandato a morire, con la mancanza assoluta di strumenti di prevenzione, di diagnosi e di protezione, con le residenze per anziani date in gestione ad aguzzini, con il disinteresse verso chi si trova recluso nelle galere e nei centri per i migranti, con l’abbandono di chi vive nei ghetti urbani, dove vengono confinati gli “indesiderati” colpevoli solo di essere poveri, e nei ghetti rurali, dove i caporali arruolano la manodopera a basso costo e senza nessun diritto.
Ci ribelliamo alla gestione militare della pandemia, con tutte le persone detenute ai domiciliari, con l’arroganza poliziesca concretizzatasi in aggressioni contro pacifici cittadini colpevoli solo di essere usciti di casa per gettare l’immondizia, per passeggiare, per correre, per portare un fiore a una lapide.
Contestiamo le scelte di riattivare le fabbriche per garantire il profitto ai padroni sulla pelle e la salute degli operai, mantenendo le persone recluse a casa con il governo che decide, per legge, quali siano gli “affetti” di ognuno di noi.
Oggi ricordiamo tutti gli sfruttati uccisi quotidianamente dalla produzione (per la pandemia, per le migliaia di incidenti sul lavoro, per l’inquinamento, per l’amianto, per la devastazione dei territori). Ricordiamo i lavoratori lasciati senza salario, quelli licenziati e quelli che un lavoro non l’hanno mai avuto. Ricordiamo le donne che, anche in questa occasione, pagheranno il prezzo più alto a una concezione della famiglia che le vuole solo come angeli del focolare. Ricordiamo la comunità LGBTQ condannata all’inesistenza, al mancato riconoscimento degli amori quando non alla repressione brutale. Ricordiamo i migranti sterminati senza pietà nel mare e sfruttati in modo ancora più brutale sulla terraferma. Ricordiamo la violenza quotidianamente esercitata dal potere sugli esseri umani, sugli animali, sulla natura.
Questo Primo Maggio combatteremo il potere e celebreremo la festa di noi nei modi che ognuno di noi troverà più appropriati.
Ricordiamo le parole di August Spies, uno dei martiri di Chicago: “Verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che oggi soffocate con la morte!”.
Il giorno del silenzio non è ancora venuto. Oggi 1° maggio 2020 noi non stiamo zitti!
Gruppo Anarchico “M. Bakunin” – FAI Roma e Lazio
NAPOLI
Oggi a Materdei, alcune persone hanno esposto nella piazza della Metropolitana di Materdei dei manifesti e uno striscione per ricordare che il primo maggio non è tanto una festa, ma un giorno per ricordare che per raggiungere una migliore qualità della vita bisogna continuare a lottare.
In questi giorni di quarantena molte e molti tra chi lavora non sta vedendo da più di due mesi lo stipendio, c’è chi viene licenziato. E poi ci sono gli e le invisibili: colf, lavotrici/lavoratori sessuali, a nero, dello spettacolo, rider, braccianti, ambulanti, che non sanno come campare e che fine faranno.
Lavoro o non lavoro, si deve vivere!
Link del Giardino Liberato Di Materdei: https://www.facebook.com/story.php?story_fbid=3756051241133904&id=808912199181171
Gruppo Anarchico “Mastrogiovanni”-FAI
PORDENONE
Oggi, Primo Maggio, giornata internazionale dei lavoratori, nata dalle lotte per le otto ore lavorative, abbiamo voluto rispondere alle diffide del questore e alla campagna denigratoria che divide i lavoratori con l’esposizione di uno striscione presso lo stabile di Unindustria di Pordenone per rivendicare un reddito di quarantena universale e incondizionato per tutti e tutte!
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Per un primo maggio libertario e internazionalista
Un diktat è emerso in modo inequivocabile durante l’emergenza per la pandemia da Corona virus: i lavoratori, usati come carne da macello, devono sottomettersi alla volontà dei padroni.
Lo abbiamo visto nel bergamasco all’inizio della diffusione del Covid-19, dove le pressioni della Confindustria nei confronti del Presidente del Consiglio Conte e del Governatore della Regione Lombardia Fontana affinché non fosse istituita la “zona rossa” e la produzione non si arrestasse, hanno comportato un aumento esponenziale dei contagi e del numero dei morti.
Un altro esempio lo troviamo nello stato di sofferenza del nostro sistema sanitario nazionale come si è determinato durante i giorni più tragici della pandemia. Anche qui, a farsi carico delle insufficienze e delle carenze di una sanità pubblica che nell’arco degli ultimi trent’anni ha subito una riduzione dei finanziamenti a favore di quella privata, sono stati i lavoratori ospedalieri che, oltre a sopportare pesanti turnazioni di lavoro, hanno pagato un grave tributo mettendo in gioco la propria salute o, nel peggiore dei casi, la propria vita.
Una rappresentazione di due mondi contrapposti: da una parte chi, consapevole della gravità della situazione, mette da parte i propri affetti e la propria famiglia per dare un contributo sul piano della solidarietà sociale; dall’altra la disumanità, che è il prodotto delle rigide regole del mercato e che ha come unico scopo quello di fare soldi rubando sul lavoro altrui.
Con la pandemia, lo stato di recessione che stava attraversando l’economia mondiale ha subito un’accelerazione che ci ha fatto ripiombare dentro una crisi ancora più grave di quella del 2008.
Nel caso italiano, gli analisti prevedono una riduzione del 9% del Pil, la chiusura di molte attività economiche e un aumento della disoccupazione. Migliaia di lavoratrici e lavoratori, già in difficoltá perché non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione in deroga, perderanno il posto di lavoro e la loro unica fonte di reddito; chi già viveva la condizione del precariato, del lavoro intermittente o del lavoro nero subirà una sorta di marginalizzazione sociale; senza contare i lavoratori migranti che perderanno anche il diritto di stare sul territorio italiano.
Nel frattempo, le associazioni imprenditoriali spingono per riaprire le fabbriche (anche se ormai sono centinaia di migliaia le imprese che stanno svolgendo la propria attività in deroga al DPCM) con l’obiettivo di recuperare una parte del profitto perduto. Chiedono il prolungamento della settimana lavorativa sette su sette, una maggiore flessibilità e un aumento della produttività. Nel frattempo, introducono il lavoro agile, senza un accordo che ne definisca i limiti per contenere l’invasione della sfera privata.
E intanto, il Governo si appresta ad investire centinaia di miliardi di euro per le imprese a fondo perduto, senza alcuna garanzia sul piano dell’occupazione e dell’innovazione. Soldi che saranno recuperati, come ci insegna l’esperienza del passato, attraverso una riduzione del potere d’acquisto dei salari e con il taglio dei servizi sociali pubblici.
Non solo, mentre alle aziende viene concesso ogni tipo di proroga, blocco dei pagamenti e bonus per affitti, tasse e mutui, non concede le stesse possibilità ai cittadini in difficoltà economica che dovranno comunque pagare i ratei dei mutui o dei prestiti. Una disparità di trattamento che è sotto gli occhi di tutti.
Tutto questo è inaccettabile! È ora di mettere i bastoni tra le ruote del Capitale e di uno Stato che ne fa gli interessi. La classe lavoratrice deve ridiventare protagonista attraverso alti livelli di radicalitá e conflittualità. Lo abbiamo già sperimentato quando , in un clima di segregazione sociale, le attività produttive continuavano a pieno ritmo e i lavoratori erano costretti a lavorare in ambienti chiusi e senza alcuna garanzia di non contrarre il virus. In pochi giorni, furono organizzati centinaia di scioperi e fu bloccata la produzione e chi non poteva scioperare, si inventava mille scuse per non andare a lavorare. Solo la lotta paga!
E proprio per questo che dobbiamo fare nostra la pratica dell’auto-organizzazione, senza burocrati o funzionari che pensano solo ai propri interessi; dobbiamo prepararci a rispondere con l’azione diretta a chi ha già messo in conto di farci pagare i costi di questa ennesima crisi e ci costringe a vivere ai limiti della miseria.
Il primo maggio ė un momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori e lavoratrici per affermare i propri diritti e per il miglioramento delle proprie condizioni. Venne indicata come giornata di lotta internazionale di tutti i lavoratori perché si ispirò ai fatti del 1886, in piazza Haymarket a Chicago, dove si tenne un raduno di lavoratori e attivisti anarchici in sostegno con gli scioperi per le otto ore lavorative. Durante il comizio di uno degli organizzatori (Samuel Fielden), ci furono violente cariche della polizia e uno sconosciuto lanciò una bomba contro un gruppo di poliziotti che costò la vita ad uno di loro. Per questo fatto furono incriminati, processati e condannati a morte otto anarchici che erano tra gli esponenti di spicco del movimento dei lavoratori. I condannati, passati alla storia come i “Martiri di Chicago”, sono ancora oggi ricordati come vittime della repressione contro anarchici e sindacalisti.
In memoria dei Martiri di Chicago e di chi ha combattuto per la giustizia e la libertà!
Iniziativa Libertaria